Ho scoperto che l’arte e la filosofia sono due vie, per certi versi, opposte.
La filosofia nasce come imitazione dell’esperienza spirituale.
Come spiegazione dell’esperienza spirituale.
Pierre Hadot ha scritto riguardo a questo.
L’arte, secondo la saggezza della kabbalah, è lo stadio ultimo del desiderio di ricevere.
È il momento massimo dell’egoismo umano.
Dopo di esso inizia il desiderio spirituale.
I due desideri sono i più vicini e allo stesso tempo i più distanti.
L’’uno vuole ricevere tutto, l’altro vuole dare tutto.
Ma senza passare dall’uno non si arriva all’altro.
La filosofia, in quanto imitazione della spiritualità, vuole trascendere i sensi.
Essa ha come caratteristica essenziale il desiderio di andare oltre l’apparenza dei sensi.
Oltre ila sensazione e l’emozione.
L’arte vuole conoscere l’emozione. La vive, la racconta, la riproduce, l’alimenta, la celebra.
La filosofia è il dubbio sui sensi e il desiderio di andare oltre.
L’arte è l’accorgersi della situazione misteriosa della vita. La rappresentazione del mistero.
La filosofia vuole svelarlo. Non si accontenta. Ma non riesce.
La spiritualità è invece l’esperienza dell’oltre.
La filosofia è un cercare, la spiritualità è un trovare.
Trovare l’oltre.
Per questo motivo, a un certo punto nella vita, bisogna scegliere quale percorso si è chiamati a seguire. Accettare il proprio posto e rivelare quello che ci è dato rivelare.
Potresti essere attratto dall’esperienza spirituale, ma accorgerti che sei un artista e che, in questa vita, puoi rivelare ciò che è dato rivelare a un artista. Oppure, puoi aver sperimentato l’arte e accorgerti che sei un uomo spirituale, pronto a passare al prossimo livello evolutivo.
Un aspetto molto interessante è per me la questione del perdere sé stessi.
Durante il percorso spirituale è possibile percepire il desiderio di liberarsi da sé.
Ognuno di noi ha una serie di abitudini, desideri e convinzioni egoistiche che lo hanno caratterizzato, che hanno cioè caratterizzato la vita condizionata che ha vissuto fino ad ora. Una serie di paure lo rendono desideroso di affermazione, di amore degli altri, di protezione, e per conseguire questi benefici che lo fanno sentire al sicuro cerca di comportarsi nel modo che lui pensa possa piacere alla società in cui vive.
Essere artista significa sfidare questa necessità attraverso una sincerità sempre maggiore.
Essere spirituale significa non avere più questa necessità di essere amato.
L’artista, tuttavia, è sempre esposto alla necessità di essere amato. Quando viene amato perde quell’ansia di dover dimostrare di essere bravo e buono. Ma quando quell’amore viene a mancare, egli continua a sentire quel bisogno di affermarsi e di fare qualcosa che lo renda amabile. Ma la sua arte in questo modo non sarà originale, perché risponderà al desiderio del pubblico. L’arte è grande arte, e viene anche acclamata, proprio quando non è al servizio del pubblico. Quando può essere compresa, ma è così sincera che mostra la sua indipendenza. È nuova in quanto non condizionata dal pubblico. L’artista è sempre in mezzo a questa situazione tra sincerità scandalosa e necessità di essere amato.
Così possiamo anche intendere il dionisiaco e l’apollineo di Nietzsche. Sono due bisogni dell’uomo. L’abisso nell’Uno e l’accettazione, la definizione.
Nietzsche stesso scrive che il dionisiaco puro è l’elemento di dissoluzione dell’io, dell’ego. È l’elemento spirituale. La sensazione di voler essere liberi da sé stessi.
L’essere stanchi di sé, è un essere stanchi dell’apollineo, di tutte queste forme fasulle, eppure necessarie, che la realtà acquisisce ai nostri sensi. È un desiderio di libertà dall’egoismo. È fuori dall’ambito artistico. È il puro dionisiaco.
Se vogliamo mantenere i termini Nietzschiani.
Insomma, occorre scegliere. Che poi non è mai una scelta nostra, ma di qualcosa in noi che ci dice cosa ci è stato assegnato in questa vita. Nonostante ciò che questo corpo e questa mente condizionate potrebbero desiderare.