Dentro di noi c’è una voce che ci parla tutto il tempo, ma non siamo abituati a sentirla. In questo articolo vi spiego come si fa.
La filosofia di strada è punk, pubblicità, arte visiva, filosofia, meditazione vipassana e kabbalah.
Ci farò un libro: per ciascun tema scriverò un racconto che parla di come sono diventato punk, pubblicitario, artista, filosofo, meditante e kabbalista.
Oggi mi siedo per buttare giù la scaletta dei singoli racconti.
1) Prologo (motivazione):
– Situazione iniziale: ricordo del biberon in braccio a papà.
– Rottura: nascita di mio fratello.
– Film: l’incompreso.
–
Un pensiero che è più un fastidio: “Ancora storie che parlano di me? Che palle.”, “Lo devi fare per forza? Chi ti obbliga?”, “Non hai cose più importanti da fare? Fare qualcosa per gli altri, meditare, che ne so, suonare la chitarra e cantare.”
“E poi, veramente vuoi identificarti con le storie che ti sei sempre raccontato su te stesso? Ormai hai capito che sono inventate. Pensi ancora che tu cerchi te stesso perché i tuoi ti avevano dato in affido tuo fratello sin da piccolo? Siamo ancora alla psicologia spicciola? Tu vuoi essere totalmente te stesso, è sempre stato così dalla nascita, cazzo. La tua famiglia non c’entra niente. Questo progetto non ha senso.”
Resisto. Continuo a scrivere altre motivazioni per questo progetto che so essere molto figo, ma a chi importa? Sicuramente non a me.
Io sono quello che scrive in forma di racconto. Ma sono anche quello che molla le proprie identità, come sfoglie di cipolla. Io non sono un artista, un filosofo, un buddista, un kabbalista, un pubblicitario., uno scrittore. Io sono io. Che non significa niente.
Quando ho deciso di mollare il progetto mi sono sentito libero.
La stessa libertà di quando ho deciso di non scrivere più dopo aver pubblicato il mio primo racconto sul quotidiano l’ora di Palermo. Lo stesso entusiasmo di quando ho deciso di non fare più opere di arte visiva. La stessa felicità di quando mi hanno licenziato dalla Leo Burnett.
Il mio amico Massimo ha mollato il gruppo in cui suonava proprio quando stavano per avere un grande successo. Ne abbiamo parlato a lungo. Che cosa ha spinto Rimbaud a mollare la poesia a vent’anni?
E’ un desiderio di manifestarsi nella vita e non nella finzione. E’ una cosa un po’ Platonica, ma è un desiderio del cuore. Voglio vivere, fare azioni e cazzate, senza scriverle. Voglio sperimentare la verità e non voglio sublimare nulla. Voglio farle le cose. Non voglio che quell’energia venga sprecata su un foglio. Se devo scrivere voglio scrivere una lettera d’amore, qualcosa che abbia un effetto pratico. Se devo assistere a uno spettacolo teatrale, vado a messa. Se voglio fare una performance, faccio un rituale. Una cosa che non rappresenta nulla, una cosa che accade. Se voglio scrivere un romanzo, lo faccio perché sento che porterà me e gli altri verso Dio. Altrimenti non lo scrivo. Non posso scriverlo. Perché il Daimon non vuole.