
Massimo si innamora delle ragazze e io gliele rubo. La prima è stata Carla.
“Sono un pubblicitario, ma vorrei fare lo sceneggiatore.”
“Ma bellissimo!”
Aveva trascinato la sua amica a prendere un tè al bar La Vela con me e Massimo. Un entusiasmo sospetto.
Il capodanno del 2006 tutta l’Agrigento fricchettona è all’ex Mister Fish, gestito per l’occasione da Peppe Scozzari, che in futuro andrà ad allevare capre.
A differenza di molte sciacquette carine, a me dà fastidio ricevere attenzioni da una persona che vuole scoparmi, se io non ho quell’intenzione. Ma dove la trovi una con cui parlare dell’anarchismo di Hakim Bay, mentre le altre vivono in romanzi rosa fingendosi delle dure?
Al contrario delle sciacquette, io ho un modo infallibile per trasformarti in un’amica.
I miei amici li chiamo “cane”, perché credo che siano i migliori amici dell’uomo. Ma può anche capitare di chiamarli “nano di merda”, “figlia di buttana”, “cane di merda”, a seconda delle circostanze.
In macchina, verso casa di Giammarco dove avrebbe conosciuto i miei amici, mitragliata dai miei appellativi, Carla stava per mollare. Stava per incazzarsi sul serio e dirmi: “portami a casa, sei un coglione”. A un tratto, la sua faccia si rilassa e sceglie di ridere. Dice Max Gazzè: “L’intelligenza sta dove c’è bisogno di mettersi a fare un po’ di autoironia”.
Questa intelligenza ci permetteva di pisciarci addosso dalle risate guardando la pagina facebook di uno che aveva postato una foto di bambini e commentava: “I bambini cucciolini.” Per uno scherzo del demonio, ce lo siamo trovati di fronte a una cena di compleanno e non sapevamo come fare per non guardarlo in faccia.
Io non sono rilassato neanche da solo, ma una volta mi sono addormentato in macchina sentendo parlare con lei e Angelone dopo aver fumato una canna.
Io so che il comunismo, il fascismo e tutte le invenzioni che non riguardano la trascendenza indicano solo la nostra necessità di attaccarci a una identità qualsiasi pur di convincerci che esistiamo. Lo so perché una volta, al telefono con Carla, anche io ho pianto perché alla gente non importava del 25 aprile.
A casa sua a Roma, tornati dal ristorante, siamo rimasti in cucina a parlare per ore, mentre la mia futura ex dormiva in camera, incazzata per delle stronzate. Che c’entrava lei con noi?
“Ho conosciuto un ragazzo. Stavolta è quello giusto. Per questo, questo e quest’altro motivo.”
“Aspetta, stai per dirmi questo, questo e questo.”
“Come fai a saperlo?”
“Perché la psicanalisi non ti serve a un cazzo.”
Ogni Ferragosto, i miei pochi amici vengono da me ad arrostire e bere.
Io e la mia ragazza di allora sperimentavamo percorsi spirituali basati sul superamento delle inibizioni.
Carla aveva assunto l’identità della ricercatrice universitaria di sto cazzo.
“A me non piace stare a tavola con persone che ruttano e bestemmiano.”
“È un tuo problema che dovresti affrontare con la tua psicologa.”
“Solo perché sai che vado dalla psicologa non significa che puoi dirlo davanti a tutti.”
E niente, quella sera sono tornati tutti a casa prima di mezzanotte.
Qualche anno dopo.
“Pronto.”
“Davi, devi vedere questo podcast in cui si insultano di brutto. È bellissimo!”
“Sono contento che tu sia tornata, buzzicona di merda.”
“Grazie, testa di cazzo.”