“I greci andarono a cercare Achille, che si era nascosto in una casa e si era travestito da donna. Per provare che era davvero lui gli gettarono tra le gambe un oggetto. E lui, invece di aprire le gambe come fanno le donne, le chiuse per afferrarlo come se avesse i pantaloni. Allora capirono che era lui.”
Noi bambini eravamo incantati come davanti al televisore o allo smartphone. Ogni Natale, Pasqua, o d’estate, quando la famiglia era riunita, gli chiedevamo di raccontarci l’Iliade o l’Odissea. Gli episodi erano infiniti.
Quando avevo dieci anni, mia madre e mio fratello andarono in una clinica di psicologi al nord. Mio padre mi lasciò a Palermo dalla zia Gesua. Piero abitava ancora lì. Un giorno lui e la sua fidanzata mi portarono a Mondello. Lungo il tragitto mi mostrarono la città. “Noi ci sposiamo in quella chiesa.”
Non avevo mai visto una ragazza così bella. Doveva essere fantastico sposarsi con lei. In macchina cantammo Ci son due coccodrilli. Mi portarono in sala giochi, potevo giocare quanto volevo. Mio padre non mi permetteva di andarci. Poi mi portarono a mangiare la pizza. Ordinai una quattro stagioni, ma i carciofi mi facevano schifo. Allora me ne ordinarono un’altra.
La cosa dell’amare il prossimo, Piero l’ha presa sul serio. Dicono che volesse farsi prete.
A un matrimonio di qualcuno dei suoi fratelli mi consigliò di confessarmi con il sacerdote di quella chiesa in via Notarbartolo. Prima di allora, nessun sacerdote si era mai messo a discutere con me come se anche lui fosse un essere umano.
Io so tutto sulla vita che fanno gli anestesisti perché mia madre era preoccupata quando suo nipote scelse quella specializzazione.
Alla cresima di mio fratello andai in macchina con lui verso il ristorante.
“Ma sei diventato comunista?”, “Si dice Carabinieri, non sbirri.”, “Fai sport?”
All’università ho avuto una febbriciattola che mi è durata un mese. Mi ricoverarono all’ospedale di Piero. Tra le tante analisi c’era anche l’HIV. Prima di eseguirla, Piero mi chiese se avessi avuto rapporti immorali: “capisci cosa intendo?”. Io risposi di sì.
Prima o poi devo dirglielo che in realtà non ero mai andato a puttane. Per me rapporti immorali significava aver fatto sesso. E, per fortuna, almeno quello era successo, con la mia prima fidanzata.
Il giorno di Natale, nella casa della zia Gesua c’erano i suoi sette figli, le loro famiglie, la mia e quella di qualche altro parente. Tanti decibel. Gli adulti, di cui facevo parte da poco, erano seduti attorno al tavolo da tennis apparecchiato. Piero e mio padre erano da un lato, io dal lato opposto. Piero mi urla la domanda che odiavo di più, perché ero uno sfigato: “Matteo Davide, la fidanzata ce l’hai?”. Anche io voglio che mi sentano tutti: “No, io sono gay!”. Mio padre sbianca. Piero si gira a dirgli qualcosa, che sono sicuro sia stato: “Tranquillo, zio Pino, sta scherzando. I giovani oggi sono così. È un bravo ragazzo. Avrà avuto qualche delusione.” In macchina, al ritorno, è successo l’inferno.
“Piero, tra un po’ ti chiamo e ti passo Marco. Magari riesci a convincerlo a tornare alla comunità.”
“Va bene.”
“Matteo Davide, tu e Marco siete invitati a casa di mia madre per questo Natale.”
“Ci saremo, grazie Piero.”
“Siamo tutti felici che venite. Siete la nostra famiglia.”